Bruno Corà   (2013)


Bruno Corà in conversazione con Lorenzo Puglisi


Bruno Corà: Diamo subito un orientamento a chi ci legge, come è iniziata la tua esperienza della pittura?

Lorenzo Puglisi: Tutto è partito per me dal disegno, in giovane età fino ai vent'anni disegnavo a matita e mi interessava, avevo questo desiderio di catturare quello che mi circondava nei momenti più belli; e poi c'è voluto un bel po' di tempo per avere il coraggio di tentare con la pittura.

B.C: Ma il disegno per te cos’era, una semplice tecnica di delineazione delle cose o un sistema di pensiero ?

L.P: Mi permetteva di gioire del momento, godevo di questo momento in cui la penna, la matita scivola sul foglio, cattura un volto, cattura anche uno spazio o un piccolo luogo, come per poter possedere meglio le cose, questo era il desiderio che ricordo con chiarezza; poi l’ho abbandonato però  il disegno, la pittura è partita lentamente, prima con una base, poi mano a mano con una manipolazione dal nulla , direttamente sullo sfondo della tela.

B.C: Che idea hai della pittura, deve essere sempre qualcosa che si attua sulla tela o può essere una logica di pensiero, può essere un sistema che per essere attuato, sviluppato può scegliere anche altri mezzi oltre quello del pennello e la tela? Tu che idea ne hai in generale ?

L.P: Nella mia esperienza più pratica c'è la superficie del dipinto, ma questo perché sono, come ho detto prima molto timoroso; però credo che quello che conta è quando si riesce in un qualche modo, direi misterioso, a me perlomeno sconosciuto, a catturare come qualche particella di vita, e questo si può fare sia sulla tela che con una miriade di altri mezzi; diciamo che per ora mi viene facile ritrovarmi sulla tela, lo considero il ring sul quale affrontare me stesso, direi, perché siccome la difficoltà è così estrema, in generale, di catturare l'esistenza, di proporre una visione del reale che abbia un suo senso proprio, cerco di limitare le possibilità, perché se no mi disperderei completamente… al momento la vedo così.

B.C: Hai definito la tela un ring dove cercare te stesso, ma evidentemente su questo ring si attua un vero e proprio combattimento: il combattimento nella ricerca di se stessi tu lo hai individuato per quale tipo di verità individuale, qual è la cosa alla quale vuoi giungere ?

L.P: Devo dire che inizialmente e per un lungo tempo, tutto quello che accade non è molto cosciente, nel senso… è una sorta di incoscienza nella quale l'azione si svolge e uno come assiste, segue, cerca di governare, di lasciare andare… è un mix, un po' da scoprire nell'attimo in cui questo si verifica, quindi inizialmente non c'è veramente una direzione; poi lentamente ho iniziato a riconoscere, siccome cerco di raffigurare dei ritratti, dei volti, delle teste, delle figure, ho iniziato a riconoscere come una serie di moti interiori, pensieri che fluiscono, emozioni che si agitano… questo mentre venivano fissati sulla tela o forse, devo dire più sinceramente, a posteriori, non nell'istante; e riguardando i lavori anche dopo un certo tempo, riconosco come una sorta di istantanea di un momento di me… e quindi anche dell'altro essere umano, perché, profondamente, credo che siamo tutti uguali… come dire, questo tentativo più è sincero e più ha la possibilità di catturare, fissare sulla tela… mi fermo quando vedo che c'è un po' di questa vita, anche una piccola scintilla… riguardando il quadro se c'è qualcosa che mi tocca allora lo scopo è raggiunto.

B.C: Dunque hai anche introdotto in questo momento l'aspetto della figura, perché hai parlato di volto, hai parlato di presenza… la pittura è per te quasi esclusivamente evocativa della dimensione antropologica, oppure può essere anche il veicolo di qualche cosa, che non è l'uomo in quanto tale ?

L.P: Assolutamente, si; è qualcosa di molto ambizioso e anche devo dire presuntuoso… però è qualche cosa da cui, se si è toccati, si può fare uno spazio, lasciare un po' da parte se stessi e cercare qualche cosa che… è un'ambizione, è un punto di arrivo, non è quello che io credo di ottenere oggi, però sarebbe proprio di far sentire la presenza che, naturalmente, guardando gli alberi, gli animali, gli esseri umani, talvolta ci è dato, almeno mi è dato, di sentire… la presenza di qualche forza, un'energia, una grandezza… che pone una grande domanda sul mistero del perché siamo qua… per me anche la luce, nell’oscurità, in realtà è qualche cosa che inizia timidamente ad apparire - dal nulla - che è la mia condizione, ecco.

B.C: Entrando più nel vivo della tua modalità di esprimerti attraverso la pittura, ti domando: all'inizio, dal fondo buio, sembrano emergere delle presenze, delle identità, potrebbero essere anche degli autoritratti o dei ritratti ideali, ritratti nel senso più libero possibile, e questo quindi pone al centro della riflessione spazio - tempo ancora una volta l’identità umana, l'antropologia; qual’ è stato l'artista che ti ha in qualche modo accompagnato prima che tu arrivassi al tuo codice ?

L.P: Ce ne sono stati numerosi… a me ha toccato moltissimo la questione dell'oscurità nella pittura seicentesca, in certi ritratti e autoritratti di Rembrandt, queste figure così vive, così vere, avvolte nel buio… mi viene in mente il ritratto di Jan Six; c'è come un riconoscere un certo tipo di sentimento più forte verso alcuni pittori della storia, tra questi  Goya, poi, si arriva alla gran vita che è percepibile, palpabile nei lavori di Cezanne e anche i lavori degli impressionisti, prediligo Monet… Picasso, con una forza espressiva, in questi gesti così semplici, così essenziali, che ha portato la pittura a una sintesi troppo spesso fraintesa, dove in realtà si nascondono una vita ed una verità che sono sconvolgenti… poi c’è quello che ritengo l’ultimo grande pittore del passato, Francis Bacon, nel quale vi sono degli elementi di storicità molto profondi e dal quale io sono sedotto;  apprezzo la sua inventiva, la sua straordinaria capacità di fondere tutto il sapere e lo scibile pittorico in una grande forza del momento, come accade per tutti i pittori che riescono a far vivere nel presente quello che è il loro tentativo; sopra a tutti non vorrei dimenticare però quello che reputo il più grande pittore che ci sia stato, Leonardo da Vinci, che pur avendo creato pochissimi lavori, ha lasciato qualche cosa che… c'è un profondo messaggio, di una natura superiore… se penso al San Giovanni Battista… certo è molto superficiale quello che dico, ma i riferimenti sono questi, e sono per me soprattutto visivi; difficile da mettere in parole tutto questo mondo incredibile che viene sintetizzato dalla grande pittura del passato… mi sento molto lontano da tutto questo.

B.C: Nell’excursus che hai fatto, tra i pittori evocati nel tuo attuale lessico sembrano certamente evidenziarsi, permanere, quelli che hanno fatto molto uso del chiaroscuro e della figura, come possono essere Rembrandt oppure Leonardo stesso, Goya e poi appunto Bacon; però in realtà tu riduci molto spesso questa modalità al problema del volto più che del corpo, mentre gli altri pittori hanno fatto anche molto lavoro intorno al corpo; come mai solo sul volto e non su tutto il corpo ?

L.
P: Per il momento direi, per il momento, perchè comunque il volto è quella parte più espressiva del moto, dell’interiorità e della natura umana più profonda; anche le mani esprimono moltissimo, infatti in qualche lavoro, quelli a mezza figura o a figura intera, tento di raffigurare, di dipingere anche le mani, che hanno questa motilità, questa vita… però il viso è la parte che mi colpisce di più in un essere umano, tutta questa espressività e questa forza… il corpo, ecco, forse lo sento molto distante, forse mi sento molto cerebrale come individuo.

B.C: La pittura però nel ventesimo secolo non è stata solo, come sappiamo, figurazione, è stata anche astrazione, è stata pensiero, è stata svolta con altri pattern, altri modelli, altre concezioni e invece sembra che tu prediliga fondamentalmente quella figurale. Quali sono le ragioni di questa scelta ?

L.P: Apprezzo molto, per esempio, un certo tipo di lavoro che è stato fatto… mi viene in mente subito il lavoro di Mondrian, il suo ridurre un'immagine lentamente fino a trasformarla in un’immagine estremamente essenziale e geometrica… apprezzo tutto questo, però il mio pensiero è… molte volte vedo una macchia o qualche cosa su un muro, qualche cosa che la natura ha costruito, eppure se quella macchia ha la forma di una testa, non so perché ma a me interessa di più, mi tocca, mi smuove… è come se mi riconoscessi più facilmente in questo tutto che ci avvolge; per esempio nel rapporto con gli esseri umani mi trovo molto più in difficoltà che con un animale o con un bambino, più vicini alla natura… ecco penso che questo riconoscermi sia importante, mi ha sempre affascinato, anche nei sassi, quando accidentalmente qualche cosa mi ricorda me stesso, mi ricorda la mia esistenza.

B.C: Chiaro. Adesso però c’è un punto su cui dobbiamo fare una riflessione cioè, la pittura, di cui hai fatto anche un excursus tu stesso dal punto di vista dei tuoi interessi, ha fornito una serie di esiti come quello di Rembrandt, come quello di Cezanne o Monet, Goya e così via fino a Bacon e fino ad oggi; ora il problema è come tu pensi di doverti confrontare per portare in modo più evidente il tuo contributo a questa trasformazione del linguaggio, perché quei modelli sono già stati in qualche modo da noi riconosciuti; c'è il problema di come tu porti il contributo a questo sviluppo, come pensi di agire ?

L.P: Questo è un punto cruciale nel quale mi trovo oggi, devo dire che le strade sono molte; ciò che ho fatto fino ad ora ha ridotto tutto a un'essenzialità estrema e mi trovo direi a un punto di svolta; e sto tentando, dopo un colloquio molto interessante con te, di sovrapporre un'oscurità ad un'oscurità, quindi di utilizzare in modo estremo questo strumento misterioso dal quale sono tanto affascinato anche sulla struttura stessa del volto… questo nella  pratica dell'istante di oggi; in generale, credo che la miglior cosa che potrò fare sarà di ricominciare daccapo, cioè di chiudere come un momento… e questo avverrà credo, non sarà una decisione immediata, con un percorso attraverso un lavoro, attraverso un lungo lavoro;  penso che potrò, con un po' di fortuna, un po' di caparbietà, approdare a qualche cosa di altro… sicuramente è necessario.

B.C: L'oscurità di cui parli è una dimensione che oggi è molto indagata perché siamo di fronte a un'epoca in cui anche la fisica quantistica ci parla dei buchi neri, ci parla della materia oscura, ci parla dell'energia nera e quindi del fatto che esiste una grande parte dell'universo che noi non conosciamo e paradossalmente questo può tornare ad essere interessante per la riflessione sullo spazio della pittura, nel caso tuo la pittura che esce dal buio, esce dall'oscurità; su questo sarebbe interessante fare una riflessione in rapporto con la scienza,  la dimensione dell'oscurità in relazione allo spazio pittorico, questo può essere una cosa che aiuta a trovare.

L.P: Sicuramente, perché la pittura può veramente, non so se questo sia il mio caso, però potrebbe essere utilizzata come uno strumento per conoscere; ora ho letto qualche cosa, ci sono numerose filosofie che parlano del fatto che l'uomo va a cercare le immensità del cosmo quando le grandi verità, i grandi misteri dell'esistere, del tutto, sono racchiusi dentro di lui… la scienza, allora, se intesa come tentativo di conoscere, e ritorno a Leonardo, che non mi è dato di comprendere nel suo essere, nella sua opera, che posso solo talvolta intuire, sentire… con lui, si torna a questa forza, a questo legame tra scienza e arte, perché la grande arte, mi viene da pensare alle piramidi o comunque a strutture, a creazioni che sono state fatte nel passato e che fanno supporre una qualità di uomo diversa da quella che io conosco, è legata a leggi matematiche; la questione scientifica sicuramente è molto collegata con l’arte, c’è ad esempio la sezione aurea, ci sono dei legami molto precisi dentro la natura e dentro l'essere umano, quantificabili in termini numerici che a me sfuggono; d'altra parte non dimentico nella mia visione, che cerca di essere la più semplice possibile, le grotte di Lascaux o comunque i luoghi dove hanno trovato le prime incisioni o i primi tentativi di raffigurare umani e anche il pensiero forte di Picasso, nel senso della pittura come esorcismo, come un modo di vincere, di cercare di affrontare e vincere la paura dell'esistere; nel caso delle grotte era chiaro, almeno così dicono, il tentativo di possedere la preda prima di affrontarla con un rischio della vita, quindi c’era un modo come di conoscere quello che ci aspetta, nel mio caso vorrei conoscere quello che mi circonda, quello che sono…

B.C: Quello che non conosci…

L.P: Quello che non conosco, certo…

B.C: Io penso che la strada sia questa, adesso ci vuole solo il lavoro, bisogna esercitare queste percezioni… ovviamente di quadro in quadro vedremo quello che succederà.

L.P: Lo trovo giusto, questa è la strada…




Bruno Corà (Roma, 1942), è critico, storico d’arte e docente universitario. Direttore di musei come il Museo d’Arte della Città di Lugano, il Museo Pecci a Prato, il Centro  di Arte Moderna CAMEC di La Spezia, ha curato mostre e pubblicazioni per artisti come Burri, Fontana, Manzoni, Richter, Baselitz, Kounellis, Merz, Gormley, Fabro, Boetti, Kiefer, Spagnulo e molti altri. E’ presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri Città di Castello.

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